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GALLERIA FOTOGRAFICA “UN PO’ DI SICILIA”
SERGIO E MADELENE IN SICILIA
Un capitolo del romanzo di Alfonso Citterio “L’amore oltre l’oblio”
[…] La vacanza di Sergio e Madelene
Le giornate di vacanza si susseguivano liete fra escursioni, bagni di sole e di mare, visite ai siti archeologici ed ai borghi storici da Taormina a Siracusa. Ma i ricordi migliori che rimasero loro impressi furono certamente i santuari della natura che questo angolo di Sicilia riservò come vere perle di una vacanza indimenticabile.
Non si poteva scordare fra questi la avvincente salita all’Etna. Avevano lasciato sul piazzale della funivia la Fiat Punto noleggiata presso l’Avis di Taormina. L’impianto dopo l’ultima eruzione non era ancora stato rimesso in esercizio. Alla biglietteria fu loro proposta un’esplorazione fino alla quota di circa 2800 metri nella zona dell’ormai fuori uso ex Osservatorio, meglio conosciuto come rifugio del Filosofo.
Salirono accompagnati dalle guide con l’ausilio di pulmini a trazione integrale. Li giunti, la vista sul cratere terminale fu emozionante. Lo sterrato finiva in uno spiazzo dopo il quale ammassi di lava nera chiudevano il passaggio. Lungo tutta la strada percorsa fin lassù i dintorni offrivano solo distese di sabbie nere o grovigli di lava.
Il cono terminale si ergeva sopra di loro per circa 500 metri, non lasciando intravedere alcuna traccia per risalirlo. Dal cratere una nube plumbea densa di vapore si levava nel cielo, distribuendo il grigiore tutto attorno. Forti raffiche di vento spingevano queste volute fumose nella direzione della costa, divorando rapidamente il tenue azzurro del cielo.
Ogni tanto dalla pancia del vulcano provenivano sordi rumori di tuoni soffocati e cupi brontolii che facevano accapponare la pelle. Dopo le spiegazioni della guida sulle caratteristiche di questo vulcano e della storia delle eruzioni dai tempi remoti ad oggi, ridiscesero al piano.
Circumnavigarono la montagna toccando i centri dislocati sulle falde dell’Etna, dove ampie fioriture spiccavano sul suolo di nera lava con i colori vivaci della gialla ginestra e dei toni rosa e violaceo della verbena. Tutti paesini caratteristici, che già dai nomi promettevano interessanti storie come Zafferana Etnea o Linguaglossa con il piccolo museo della lava. Bronte, dove non rinunciarono ad assaggiare la deliziosa pasticceria confezionata con il famoso pistacchio della zona. Randazzo, che rimase nei loro ricordi per l’indimenticabile mangiata di funghi al ristorante “Il Veneziano”. Nonostante il nome poco isolano furono informati dal cameriere, figlio della proprietaria, che quello era il cognome della mamma, la quale con la sua passione per la cucina, era stata l’artefice del successo del locale. Tutto il menù dall’antipasto al dolce era stata una incredibile parodia di funghi d’ogni varietà cucinati in tutte le salse.
Qualche giorno dopo stavano rientrando con il volo Catania-Roma e facevano a gara a raccontarsi le cose più belle di quel soggiorno sull’isola.
– Ricordi le Gole di Alcantara? Quelle pareti nere ed altissime di basalto?
Gli stivaloni con tuta ascellare in gomma che abbiamo noleggiato sono stati essenziali per penetrare in quel corso d’acqua cristallina.La pozza centrale era tanto profonda che ormai galleggiavamo e l’acqua per poco non si riversò all’interno della tuta!
– Oltrepassato quel punto difficile però la vista si aprì su un canyon selvaggio e misterioso. E’ stato eccitante, un’esperienza irrinunciabile.
– E l’Oasi di Vendicari?– E’ stato fantastico percorrerla fino alla spiaggia di “Calamosche” chiusa in una stupenda insenatura con sabbia finissima e dorata. Se chiudo gli occhi risento ancora il ritmare dei nostri passi sulla sabbia, il fischiare del vento ed il cinguettio degli uccelli. E’ stata una camminata fra l’azzurro timido degli stagni e il variegato verde della flora spontanea mediterranea.
Rivedo il blu intenso del mare all’orizzonte e i cangianti colori delle onde che ci venivano incontro adagiandosi sulla battigia. Nell’aria v’era un susseguirsi di profumi dal timo al ginepro coccolone, al sentore di vaniglia e cannella di rare vegetazioni mediterranee che permeavano l’ambiente saturando i nostri sensi.
– I profili bruciati dal sole dei ruderi della vecchia tonnara con la svettante ciminiera sembravano l’albero maestro di un veliero arenato sulla spiaggia. E la Torre Sveva s’innalzava sugli scogli là dove il mare rumoreggiava spumeggiante.
Dopo circa un’ora di trasvolata la voce di uno Stuart diede l’annuncio di allacciare le cinture in previsione dell’imminente atterraggio a Fiumicino. Ubbidirono meccanicamente restando ancorati al sedile del vecchio DC9 in compagnia dei loro pensieri.
Erano ormai preda dei ricordi di quella bella vacanza siciliana. Evocarono altri luoghi suggestivi per rivivere quei momenti di infinito benessere che avevano sperimentato.
Ora scendevano nella valle dell’Anapo. La necropoli di Pantalica si
mostrava con miriadi di cavernose aperture distribuite lungo tutta la parete rocciosa che a strapiombo si abbassava sulla selva sottostante nascondendo lo stretto canyon, dove scorrevano le limpide acque del fiumiciattolo. Dall’alto continui scorci si aprivano sulle tombe rupestri: grandi e piccole cavità che ospitarono antiche spoglie e che ora disegnavano l’orografia del sito.
Immagini suggestive della natura che nasconde ed a volte esalta la pietra, pazientemente intagliata con gradini o scavata per tombe e ripari sottoroccia.
La discesa li inoltrò sempre più nella forra, passando a lato di continue grotte dove si poteva scorgere all’interno i sepolcri scavati nella roccia. La calura di quel pomeriggio si spegneva nella fresca vegetazione, sempre più rigogliosa, che si infoltiva man mano ci si avvicinava al fondo della gola.
Lontani da ogni rumore di strade o paesi, senza nessuna presenza di turisti vocianti s’incamminarono nel silenzio della natura accompagnati solo dal leggero frusciar di fronde, dal cinguettio dei passeri, e dalla voce cristallina di un usignolo solista. Il gorgoglio dell’acqua si fece sempre più vicino unendo il canticchiare del ruscello agli altri suoni in una fusione armonica con quell’ambiente così misterioso ed intrigante. All’improvviso lo videro.
– Guarda, l’Anapo.
– Stupendo, con queste acque limpidissime.
Ai loro occhi quel sito sembrava l’anticamera del paradiso terrestre. L’emozione li aveva pervasi. Attraversarono i diversi rami del ruscello saltellando su alcune pietre che indicavano il percorso.
Incuriositi dal posto che non si erano aspettati, indugiarono nell’esplorazione dei dintorni prima di continuare sul sentiero che risaliva il fronte opposto. Avanzarono nel corso d’acqua che scorreva nella vegetazione a volte anche intricata, fino ad una radura che sembrava fatta apposta per sostare a godersi quel regno fantastico. Tutt’intorno il verde dei quercioli, qualche fusto d’agrume con timide zagare ed i rossi oleandri. Poco sopra un meraviglioso carrubo stendeva i rami carichi di frutti maturi. Sull’altro lato, di là dal torrente, la massiccia parete presentava un riparo sotto roccia scavato nel tenero minerale e fortificato da minuscoli muretti in pietra.
La scenografia era tale da togliere il fiato anche ai più disincantati. Rimasero seduti uno accanto all’altro abbracciati nel mezzo della radura, guardandosi attorno affascinati, godendo istanti di sublime intima spiritualità.
Erano ancora in attesa dei bagagli all’interno dell’aeroporto, ma con la mente erano rimasti in quel luogo sacro nel cuore della Sicilia. Riemergeva nella memoria la visione della grande caverna che si apriva sul versante di Sortino. Per raggiungerla avevano percorso un nascosto sentierino che con ardite scalettature nella roccia scendeva alla base di questo antro dalla volta altissima, dove si poteva immaginare nella vastità della navata interna la celebrazione di qualche rito antico.
Con un po’ di fantasia: ecco le fiaccole poste intorno alle pareti ad illuminare la scena, genti semplici, dai visi induriti, dalle mani incallite, dai cuori aperti, con la speranza mai sopita, rivolti a quel masso sul fondo della grotta che forse fungeva d’altare, tutti attenti alla parola del profeta. Quasi, a ben ascoltare, si poteva udire il mormorio delle loro preghiere.
Il tempo nella valle dell’Anapo era trascorso lentamente sull’ali di tante immagini. Riemersero sull’altopiano con il cielo già tinto dei colori del tramonto. Sergio e Madalene faticavano ad abbandonare quei luoghi magici. Ad un tratto alcune dolci note li raggiunsero diffondendosi nella valle e rimbalzando sulle pareti della gola. Tutto d’intorno sembrava immobile. Cercarono di capire da dove provenisse quella musica così nostalgica. Eccolo infine, quasi nascosto da un cespuglio, un pastore seduto sul ciglio del burrone eseguiva il suo inno al tramonto con la stoffa del virtuoso solista di flauto. Restarono ad ascoltare quella struggente melodia che accompagnava la luce del giorno spegnersi nei colori indaco del cielo, lasciando spazio all’imbrunire con la luna piena che già faceva capolino.
Fu il saluto degno di un bellissima giornata vissuta nella natura a contatto con memorie antiche.
Difficile tornare al presente con emozioni così intense, ma le valigie son lì che girano sul tornello e bisogna recuperarle.
E’ il momento degli addii. Ma entrambi sono certi che sarà per poco, perché questa vacanza li ha uniti indissolubilmente. Sanno che le esperienze condivise diverranno il bagaglio del loro futuro che è ormai deciso, sarà in Brasile a casa di Madelene. […]
FUGA ILLUSTRATA
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